Chi il maestro Dae Woung onorava della sua amicizia, ha avuto modo di cogliere un aspetto del suo carattere che si disvelava a pochi: la sua capacità di ridere, il gusto per la battuta.
Se in palestra poteva apparire in certe occasioni e quando le circostanze lo richiedevano, duro e fin troppo serio, la pressione poteva stemperarsi improvvisamente. Questo grazie a una frase scherzosa
che nasceva al momento o a uno scoppio di spontanea ilarità.
In fondo il Maestro Shin, come i vecchi saggi taoisti, amava l’umorismo, l’arte del paradosso, lo scherzo. Alcune battute, o il racconto di episodi divertenti condivisi durante la pratica o nelle cene
dopo una sessione di kung fu, si sono poi tramandati di allievo in allievo. Spesso sconfinando in una sorta di mito comico. Questa capacità di ironia e autoironia mi è sempre parsa una peculiarità della nostra
scuola.Con altri insegnanti, frequentati per stage o semplicemente conosciuti, era difficile trovare aspetti comici nel lavoro quotidiano in palestra. Vuoi per problemi di lingua, se stranieri, vuoi più spesso
per barriere culturali.
Un peccato. L’umorismo è spesso un’arma per rompere i muri dell’incomprensione e della diffidenza. Gli istruttori della scuola Dae Woung si sono spesso serviti del motto, del divertissement, per rendere
più leggera l’atmosfera di un allenamento severo.
Rammento una battuta fulminante di uno degli allievi storici del Maestro Shin, Giuseppe Bon, al rientro a Vicenza da uno stage a Milano. Raccontando della trasferta si era soffermato sui risvolti gastronomici.
Lui e gli altri avevano cenato in un ristorante macrobiotico, una novità per l’epoca – si era negli Anni Settanta. Gli allievi che non avevano partecipato allo stage chiesero incuriositi particolari sul cibo.
E lui di rimando….” Intendete il cibo microbiotico….”, facendo intuire come avesse lasciato Milano con la fame addosso. Dunque: umorismo come gioco di parole che guida verso la comprensione della diversità,
in questo caso la cucina esotica. L’umorismo lavora anche sul nonsenso delle situazioni.
Il Maestro rise molto di un allievo (e con l‘allievo) che, nell’aiutare a portare pietre all’interno di una casa in costruzione nel tempio a Rapallo, si ostinò a raccogliere più volte, non riconoscendola,
la stessa pietra che Shin aveva scartato e gettato a ripetizione dalla finestra perché non adatta alla bisogna. La pietra venne riportata su e buttata giù senza soluzione di continuità. Una fatica di Sisifo
diventata occasione, allo smascheramento dell’inghippo, per smascellarsi dalle risa. La morale? Il ridere del Maestro con i suoi allievi sottolineava (e sottolinea) la funzione catartica della parola umorismo
(Fate l’umore, non fate la guerra!). Se usata con parsimonia e intelligenza, apre brecce nei caratteri e nelle difese identitarie.